Sake Awards 2012 | Degustazione di 7 Sake a Londra

Sabato scorso siamo stati ospiti di Hyper Japan, la famosa fiera dedicata al Sol Levante e abbiamo preso parte alla degustazione organizzata da Eat Japan per la premiazione dei Sake Awards 2012. Si è trattato di un’ottima occasione per:

– bere Sake diffilmente trovabili in Italia

– sperimentare un percorso di degustazione e abbinamenti ben preparato

– conoscere 7 “brewers” e scambiare con loro idee sulla diffusione della cultura del Nihonshu

Ecco il nostro parere e, in fondo al post, il vincitore eletto da tutti i degustanti.

Si inizia con un Mukantei Ginjo di Kikusui. Delicatissimo, profumi quasi impercettibili, ma eleganti. Abbinato a una puntina di Tofu salato rivela sentori di mela e banana. Il suo nome anticipa la sua esperienza palatale, significa infatti: imperatore senza corona, un giovane principello dei Sake. Buono per iniziare.

 

Molto più elaborato, bottiglia e palato, il secondo: Dassai 23, un Junmai Daiginjo prodotto da Asahi Shuzo. Il naso si rivela più elaborato, ma è al palato che si dischiude rivelando una profondità inattesa con profumi così delicati: frutta bianca, pesca, melone, retrogusto finalmente più persistente. Rotondo!

 

Al terzo turno ci attende lo scorrere delle “gru (Tsuru) lungo il fiume (Kawa)” che si preannuncia morbido e speziato al naso, ma forse troppo dolce in bocca. Facile. Infatti si accompagna a una sardina ingannatrice per arricchire l’esperienza.

 

Classico, pulito, fresco, elegante. Lo si trova anche da noi ed è una bottiglia sicura. Il Junmai Ginjo di Hakkaisan non tradisce. Lo potete immaginare al pari di un Colomba Platino, sapete che sarà piacevole. E lo è stato accompagnato a un delicato caprino.

 

Si può stemperare il pepe di un pisello secco ricoperto di Wasabi? Il numero 5 ce l’ha fatta. Carico di banana, lattiginoso al palato non è stato il mio preferito, ma smussa piccante e grasso e per il Nihonshu questa è una qualità non da poco. Abbinabile!

 

Profumo di noci, caramello, ma secchezza al palato rendono il numero 6 un Sake davvero interessante. Ho preso tre pezzettini di Cheddar semistagionato e ogni volta mi sono stupito dell’equilibrio che l’Otokoyama Junmai riusciva a dare al formaggio d’oltremanica. Fiero.

 

Dulcis in fundo. Ed è proprio così. Da una delicatissima e raffinata bottiglia si stagliano note di caramello, banana, frutti tropicali e al palato il Junmai Ginjo di Choryo Shuzo si presenta complesso, ma mai troppo dolce. Il mio preferito per complessità e equilibrio. Lega meravigliosamente con una caciotta d’alpeggio, sapida e grassa. Signorile.

 

L’insieme dei votanti non ha concordato con me però, e il Sake Awards 2012 se l’è aggiudicato (meritatamente) il numero 2: Dassai 23 di Asahi Shuzo. Complimenti!

Noi torniamo a casa pieni di bottiglie, biglietti da visita e memorie di 7 meravigliosi passi lungo la via del Sake. I prossimi saranno a Milano…

Drinking Japan: una guida per scoprire la cultura giapponese del bere

Se cercate un libro per iniziare a conoscere il Sake (o meglio il Nihonshu) o lo Schochu, ma anche i Whisky giapponesi e i Sake bar di Tokyo non possiamo che consigliarvi Drinking Japan di Chris Bunting.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il libro è ricco di storia, informazioni, indirizzi ed è un ottimo modo per avvicinarsi non solo al Sakè come bevanda, ma anche ai suoi riti e alle sue tradizioni e alla cultura giapponese in generale.

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I primi passi lungo la via del Sake

La foto che vedete qui sotto è stata scattata a una degustazione di prodotti di Hokkaido tenutasi a Tokyo lo scorso dicembre. Il Taru (l’equivalente della barrique per il vino) è quello delle occasioni speciali, con la vasca in acciaio da cui il Nihonshu viene servito nei Masu. Quella sera eravamo ospiti della nota Wine Blogger Melinda Joe e ci siamo avvicinati a questa botte, a noi misteriosa, con un misto di curiosità e esitazione. Non avevamo mai bevuto da un bicchiere quadrato e tutto ci è sembrato esotico e familiare al tempo stesso. A dire il vero non sapevamo nemmeno cosa stavamo bevendo di preciso.

Raggiunti da Melinda le abbiamo chiesto cosa fosse il liquido trasparente che ci era stato versato. “It’s Sake!” Alla risposta di Melinda la sorpresa è stata notevole. “Sake?!? Ma il Sake non è quel liquore che si beve caldo?

L’occhiata sconsolata, di chi ha sentito troppe volte questo pregiudizio, che ci ha tirato Melinda, assieme all’immagine della botte e al contesto (una degustazione) hanno reso subito chiaro ai nostri occhi che stavamo bevendo l’esatto equivalente del vino per la cultura giapponese. Una vera rivelazione!

Ne è nata una conversazione durata alcune ore, e alcuni Masu, in cui davanti ai nostri occhi e ai nostri orecchi scorrevano immagini, idee, progetti. Il Sake ci appariva ora come un mondo ricco e sconosciuto: pieno di tradizione come il mondo a noi ben noto del vino, ma anche di mistero e nuovi riti e profumi da scoprire.

Era come aver bevuto Vin Brulè tutta la vita e venire portati in un’enoteca. La via del Sake si era aperta di fronte a noi. Se ora la stiamo percorrendo assieme, sappiate che i primi passi sono stati mossi quel giorno.

 

Sake: le origini della parola (what’s in a name).

Indagando sull’origine di una parola spesso se ne può comprenderne meglio il significato e lo spirito. Sulla parola “Sake” ci sono diverse teorie e come si legge nel Kojiki o nel Nihon-Shoki in antichità lo chiamarono in diversi modi come “Kushi”, “Miki” o “Ki”.

Di tutti questi modi “Ki” fu il più utilizzato. Esso deriva da “Ke”, denominazione generale che raggruppa il cibo e le bevande. Successivamente la sua pronuncia si sarebbe trasformata in “Ki”. Tuttoggi il Sake viene chiamato anche “Miki”(御酒) o “Omiki”(御神酒), anteponendo  i prefissi onorifici tradizionali giapponesi alla parola “Ki”.

Una teoria dice che la parola Sake derivi da “Sakae no Ki” (Ki o bevanda che fa prosperare). Per una seconda verrebbe da “Sakae mizu” (acqua che fa prosperare) perché a chi beve il Sake si ingrandirebbe il cuore e il portafoglio, divantando molto ricco. Una terza presume che nasca dal verbo “Sakeru” (evitare), perché bevendolo si evitano il freddo e la negatività. A conferma di ciò c’è un detto in giapponese che recita: “Il Sake è la miglior medicina” (酒は百薬の長).

Oggi la parola Sake è un appellativo che indica la bevanda alcolica in generale, oltre a riferirsi al liquore specifico che si ottiene dalla fermentazione del riso. Per il Sake, infatti, c’è la parola “Nihon-Shu” (Shu è un’altra lettura dell’ideogramma Sake) e che significa il Sake (vino, liquore) del Giappone.

A riprova di quanto il Sake, o meglio il Nihon-Shu, occupi nella cultura giapponese il posto che il vino occupa in quella italiana si sappia che il vino in giapponese si dice “Budou-Shu” che letteralmente significa il Sake dell’uva. La birra si chiama “Baku-Shu”, che vuol dire il Sake del grano.

In ogni caso il Sake è di buon augurio, legato profondamente alla cultura del Sol Levante e viene utilizzato spesso anche nei rituali religiosi, oltre ad accompagnare la vita quotidiana e i pasti dei giapponesi.

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